Province / La Regione Piemonte ha presentato ricorso alla Corte Costituzionale

 
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(PTN) - TERNI - La Regione Piemonte ha presentato ieri formalmente ricorso alla Corte Costituzionale per presunta illegittimità delle disposizioni previste nel decreto Monti in materia di riorganizzazione delle Province italiane. Nel ricorso si sostiene l'illegittimità dei seguenti articoli del decreto: dell’art. 23, commi da 14 a 21, del decreto legge n. 201/2011, cosi come convertito, con modificazioni, dalla Legge di conversione 22 dicembre 2011 n. 214, pubblicata sulla G.U. n. 300, G.O. del 27.12.2011, per violazione degli articoli 5, 114, 117, commi 2 lett. p, 4 e 6, 118 e 119 della Costituzione, anche sotto il profilo di violazione del principio della leale collaborazione. ********** FATTO E DIRITTO L’art. 23 del D.L. n. 201/2011 (disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici) convertito con modificazioni dalla L. n. 214 del 22.12.2011, dal comma 14 al comma 21, contiene norme di sostanziale abolizione delle Province che la Regione Piemonte ritiene lesive delle competenze degli enti locali previsti direttamente dalla Costituzione e, di conseguenza ma anche direttamente, lesive delle attribuzioni legislative regionali, delle stesse prerogative regionali costituzionalmente garantite, e in generale, dell’autonomia regionale. Il Consiglio delle Autonomie Locali del Piemonte, istituito con L.R. n. 30/2006, con risoluzione del 7.12.2011 (doc. n. 1) ha avanzato al Presidente della Giunta Regionale la proposta di impugnare alla Corte Costituzionale l’art. 23, commi 14, 15, 16, 17, 18 19, 20, 20bis e 21 del D.L. 211/2011 convertito dalla L. n. 214/2011. La Regione è legittimata a proporre la presente impugnativa per la lesione diretta subita dalle norme contestate ma anche per la lesione delle prerogative costituzionali delle Province. Più volte si è pronunciata Codesta Ecc.ma Corte (sentenze nn. 417/2005, 196/2004, 95/2007, 169/2007, 289/2009) nel senso di ammettere censure relative a compressione di sfere di attribuzione provinciale o degli altri enti locali istituiti dall’art. 114 della Cost., da cui derivi una compressione dei poteri delle Regioni. E’ di tutta evidenza, come si spiegherà in prosieguo, l’esistenza di tale vizio nella presente fattispecie laddove la “compressione” coincide con la “abolizione” stessa delle Province. Il comma 14 attribuisce alla Province funzioni esclusivamente di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale e regionale secondo le rispettive competenze. Il comma 15 definisce organi della Provincia il Presidente ed il Consiglio Provinciale. Il comma 16 trasforma il Consiglio Provinciale da organo di elezione diretta ad organo ad elezione indiretta composto da 10 componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni. Il comma 17 stabilisce l’elezione del Presidente da parte del Consiglio rinviando, per le modalità, a successiva legge statale. Il comma 18 attribuisce allo Stato ed alle Regioni, secondo le rispettive competenze, il trasferimento ai Comuni, entro il 31.12.2012, delle funzioni provinciali salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. E’ previsto l’intervento sostitutivo da parte dello Stato. Il comma 19 prevede, da parte dello Stato e delle Regioni, il trasferimento delle relative risorse umane, finanziarie e strumentali per l’esercizio delle funzioni trasferite. Il comma 20 stabilisce la decorrenza dei nuovi organi. Il comma 20bis esclude dall’applicazione le Province Autonome di Trento e Bolzano ed assegna alle Regioni a Statuto Speciale 6 mesi per adeguare i propri ordinamenti alle disposizioni dei precedenti commi. Il comma 21 consente ai Comuni l’istituzione di unioni o organi di raccordo per l’esercizio di specifici compiti o funzioni amministrative garantendo l’invarianza della spesa. Tali commi tutti in stretta connessione tra loro, violano gli articoli 5, 114, 117 commi 2 lett. p) 4 e 6, 118 e 119 della Costituzione, nonché il principio di leale collaborazione in relazione all’art. 8 della legge 5.6.2003 n. 131 recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18.10.2001 n. 3. QUANTO ALL’ART. 5 DELLA COSTITUZIONE, ivi si riconosce un rilievo costituzionale alle autonomie locali, al principio del più ampio decentramento amministrativo ed all’adeguamento della legislazione statale alle esigenze dell’autonomia e del decentramento. E’ evidente l’inversione del parametro costituzionale nella norma impugnata, con conseguente grave compromissione, come meglio si specificherà, anche dell’autonomia regionale e dell’assetto ordinamentale ed istituzionale della stessa. QUANTO ALL’ART. 114 DELLA COSTITUZIONE. La Costituzione definisce le Province, insieme ai Comuni, alle Città metropolitane, alle Regioni ed allo Stato, enti costitutivi della Repubblica – Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo principi fissati dalla Costituzione. L’eliminazione della Provincia nel suo organo amministrativo fondamentale, la riduzione del Consiglio Provinciale non più ad organo di governo (nonostante la definizione del comma 15), ma di indirizzo e coordinamento delle attività dei Comuni, l’attribuzione delle relative funzioni ai Comuni e alle Regioni, unitamente alle risorse umane, finanziarie e strumentali, viola apertamente l’art. 114 nella sostanza e nella forma, in quanto una proposta di riordino (che non equivale necessariamente a soppressione) complessivo delle istituzioni territoriali non può essere oggetto di un decreto legge volto a risanare le finanze pubbliche (obiettivo peraltro non raggiunto con la norma impugnata) e di fatto modificativo della Costituzione. Nessuna autonomia opzionale è lasciata alle Province ed alle stesse Regioni in aperta violazione del secondo comma dell’art. 114. QUANTO ALL’ART. 117, COMMI 2 LETT. P) 4 E 6, 118 E 119 COST. L’art. 117, secondo comma, lett. p) della Cost., attribuisce allo Stato legislazione esclusiva in materia elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane. L’intervento “demolitorio” attuato con la norma impugnata, travalica la competenza statale il cui limite è dato dal parametro costituzionale appena citato in stretta correlazione con gli artt. 5 e 114 della Costituzione istitutivi, appunto, delle autonomie locali e, per quello che quì ci riguarda, delle Province. La potestà legislativa esclusiva dello Stato in merito alle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, può essere esercitata nel rispetto della loro “esistenza” quali “enti autonomi con poteri e funzioni secondo principi fissati dalla Costituzione”. Le norme impugnate, viceversa, aboliscono le funzioni (ed i relativi organi) fondamentali affidando alle Province “mere funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale secondo le rispettive competenze”. Posto che le funzioni o sono legislative e regolamentari (Regioni), o sono regolamentari e amministrative (Province e Comuni), “l’indirizzo e il coordinamento” del tutto svuotato dalle funzioni proprie attribuite ad altri è un pallido “escamotage” incapace di nascondere la cancellazione delle Province ed il conseguente impatto anche sull’assetto legislativo e regolamentare delle Regioni ledendone la stessa autonomia. Il Governo viola le competenze residuali e concorrenti delle Regioni, e la stessa potestà regolamentare laddove impone alle medesime di trasferire ai Comuni le funzioni delle Province e di tenere per sé quelle volte ad assicurare l’esercizio unitario. Le Regioni infatti, nell’ambito della propria potestà legislativa e regolamentare, conferiscono o meno funzioni amministrative alle Province (ed ai Comuni), anche attraverso l’istituto della delega. Le Province a loro volta sono titolari anche di funzioni amministrative proprie e di potestà regolamentare sull’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni loro attribuite (art. 118 e 117, VI° c., Cost.). Eliminare tout-court dette funzioni attribuendole alle Regioni che, a loro volta, (per quanto di loro competenza), le attribuiscono ai Comuni o le tengono per sè, mentre lo Stato tiene per sé quelle che ritiene non di competenza delle Regioni per attribuirle a sua volta ai Comuni, crea un totale sovvertimento dell’assetto costituzionale del sistema della autonomie locali. La norma statale interviene sostanzialmente e trasversalmente in tutte le materie, incluse quelle di competenza regionale esclusiva o concorrente, con un effetto dirompente sulle conseguenti funzioni amministrative e sul loro esercizio in via diretta, attribuita o delegata. L’esercizio della potestà amministrativa regionale è fortemente inciso dalle norme impugnate in quanto l’amministrazione regionale, che ha già delegato o attribuito alle Province funzioni sue proprie, è costretta a riprendersele per attribuirle (coattivamente) ai Comuni e tenere per sé quelle necessitate dall’unitarietà dell’esercizio. Non solo viene dunque lesa l’autonoma potestà regolamentare delle Province di cui all’art. 117, comma sesto, Cost., ma viene altresì imposto un modello di conferimento indifferenziato e generale con legge regionale agli enti locali che indubbiamente rappresenta un’indebita compressione delle prerogative regionali anche in relazione all’art. 118 Cost. ed all’art. 119 quanto alla correlata autonomia finanziaria. Il “collante” atto a giustificare la pervasività dell’intervento statale sarebbe dato, stante il titolo del decreto legge convertito, dall’urgenza di emanare disposizioni per “la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”. Tuttavia la norma impugnata non è idonea a raggiungere tale scopo. Non solo non razionalizza l’esercizio delle funzioni amministrative, ma non produce nessun risparmio di spesa. Salvo che non si consideri tale quello riferito al costo dell’indennità di carica degli assessori e dei consiglieri oltre il limite ivi previsto in 10 unità. Se così fosse, va da sé che tale insignificante risparmio mal si concilia sull’effetto dirompente della norma, più di natura ordinamentale che finanziaria, i cui costi sono comunque interamente scaricati sulle Regioni. Tali norme incidono dunque anche sull’autonomia amministrativa e organizzativa della Regione nei suoi rapporti con gli enti locali. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI LEALE COLLABORAZIONE IN RELAZIONE ALL’ART. 8 DELLA LEGGE 5.6.2003 N. 131 RECANTE DISPOSIZIONI PER L’ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA ALLA LEGGE COSTITUZIONALE 18.10.2001 N. 3. Il comma 18, che prevede l’intervento sostitutivo dello Stato, viola il principio di leale collaborazione non rientrando, le fattispecie ivi normate, nell’art. 120 della Costituzione così come applicato nell’art. 8 della L. n. 131/2003. Oltre a ciò la mancanza di concertazione tra Stato e Regioni ed enti locali di per sé viola il principio di leale collaborazione. Posto che l’unico obiettivo della “manovra” è la riduzione delle spese, posto che è stato dimostrato estraneo tale obiettivo all’intervento gravemente incidente sull’autonomia degli enti locali in discussione, costituzionalmente definita e garantita, posto che nessun risparmio di spesa deriva dalle norme impugnate e se risparmio vi è, sicuramente è sproporzionato all’intromissione nell’alveo delle garanzie costituzionali, la strada da seguire sarebbe stata quella (indicata dalla stessa Unione delle Province italiane con un ordine del giorno del 7.12.2011) di condividere con le Regioni, Province e Comuni una proposta unitaria di riordino complessivo delle istituzioni territoriali. E’ indirizzo consolidato della giurisprudenza costituzionale che le Regioni sono legittimate a censurare, in via di impugnazione principale, leggi dello Stato esclusivamente per questioni attinenti al riparto delle rispettive competenze, e che è ammessa la deducibilità di altri parametri costituzionali soltanto ove la loro violazione comporti una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite. La norma impugnata viola quel principio di ragionevolezza che potrebbe fare ravvisare un interesse pubblico prevalente tale da giustificare una così grave limitazione e invasione della sfera di competenza regionale e degli altri enti locali territoriali. L’uso del decreto legge, unitamente al breve termine concesso alle Regioni per ottemperare a disposizioni a loro volta invasive della loro competenza legislativa concorrente, non è giustificato da un risparmio economico non dimostrato e a scapito delle Regioni e degli enti locali. E’ pertanto evidente la mancanza dei presupposti della decretazione d’urgenza, mancanza che determina una ancor più pesante vulnerazione delle attribuzioni costituzionali della Regione. ISTANZA DI SOSPENSIONE L’art. 35 della L. n. 87/53, come sostituito dall’art. 9 della L. n. 131/2003, consente che la Corte sospenda l’esecuzione delle norme impugnate se c’è un rischio di pregiudizio grave e irreparabile all’interesse pubblico o per i diritti dei cittadini. La norma impugnata impone alle regioni a trasferire ai Comune, entro il 31.12.2012, le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni. L’art. 19 impone il trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali, con intervento sostitutivo dello Stato. E’ di tutta evidenza l’esistenza dei presupposti per la concessione dell’invocata misura di sospensione.
 

 
Pubblicato il 25/01/2012

 

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