Fusione Comuni Alto orvietano / Lettera aperta dei sindaci

 
fabro
(PTN) - TERNI - Poiché siete stati raggiunti dalla “lettera aperta a Fabio Paparelli” riteniamo opportuno chiarire i margini di una vicenda che ha a che fare molto con una proposta politica-amministrativa di grande innovazione e per nulla con un “infido complotto antidemocratico” come invece pare siano propensi a credere gli estensori della missiva in questione. La vicenda è molto semplice: i sidaci e le amministrazioni di cinque comuni, dopo numerosi e infecondi tentativi per venire a capo di funzioni associate, gestione razionale dei servizi, “minacciosi” obblighi normativi (che terrorizzano uffici composti a volte da una mezza persona), avanzano la proposta di costituzione di un nuovo comune tramite processo di fusione dei Comune di Fabro, Ficulle, Montegabbione, Monteleone d’Orvieto e Parrano. Inoltre, i sindaci chiedono espressamente alla Regione Umbria – l’ente a cui dovranno rivolgersi le delibere consiliari per la richiesta della legge di costituzione del nuovo comune – di rendere vincolante il risultato del referendum. In questo modo, la fusione riguarderà solo quei comuni in cui l’esito delle urne sia favorevole alla proposta. Una richiesta necessaria per dare efficacia effettiva allo strumento di democrazia diretta e per consentire di avviare un vero confronto politico e democratico. Si arriva così, prima della fine di gennaio 2014, all’approvazione delle delibere dei cinque consigli comunali, successivamente inviate alla Regione. Poiché si tratta della prima esperienza umbra di costituzione di un nuovo comune tramite fusione, si è reso necessario provvedere ad alcune modifiche della normativa esistente. In particolare, la Giunta Regionale ha deliberato, in data 17 febbraio, un disegno di legge “Ulteriori modificazioni della l.r. 16/02/2010, n. 14” con il quale (a) si propone di eliminare il vincolo temporale che costringe ad indire il referendum consultivo previsto dalla Sezione IV della l.r. 14/2010 solo in un particolare periodo dell’anno (dal 15 aprile al 30 giugno) e (b) di definire con chiarezza il perimetro di applicabilità dell’art.28, comma 1 della L.R. 14/2010 in maniera tale da consentire lo svolgimento del referendum consultivo pure oltre la data di pubblicazione del decreto di indizione dei comizi elettorali per lo svolgimento di elezioni politiche, nazionali o amministrative. Gli autori della “lettera aperta” sollevano il problema dei trenta giorni. La modifica proposta dalla Giunta regionale parla di un massimo - 120 giorni - e un minimo - 30 giorni - che possono intercorrere tra data del decreto del Presidente della Regione e giorno di svolgimento del referendum. Il problema sarebbero i trenta giorni perché incongruenti con il comma 3 dell’art.46 della L.R. 14/2010 che stabilisce che “almeno trenta giorni prima della data stabilita per la votazione, i Sindaci dei Comuni della regione interessati alla consultazione provvedono a dare notizia agli elettori della indizione del referendum mediante appositi manifesti”. Cosa dicono gli autori della “lettera aperta”? Che se la Presidente della Giunta dovesse, per ipotesi, applicare esattamente il tempo minimo di trenta giorni, allora non ci sarebbe il tempo materiale per affiggere i manifesti entro il termine regolamentare. Un argomento “cavilloso” che serve a paventare un eventuale ricorso contro il provvedimento legislativo regionale. I trenta giorni nascono da una considerazione sulla specifica natura del referendum consultivo in caso di fusione di comuni esistenti. Questo tipo di consultazione non si rivolge all’intera comunità regionale (come invece lo sono i referendum consultivi previsti nella Sezione III della l.r. 14/2010) ma ad una porzione ben circoscritta della popolazione (in questo caso di circa 8.000 persone). Il termine minimo di trenta giorni – previsto dal disegno di legge di modifica del comma 1 dell’art.46 – appare quindi appropriato e sufficiente affinché i Sindaci dei comuni interessati possano provvedere a darne notizia agli elettori mediante appositi manifesti come previsto dal comma 3 dell’art. 46 della l.r. 14/2010. Il punto centrale del ragionamento è tuttavia politico. La proposta di costituzione del comune unico dell’Alto orvietano nasce dal basso, cioè nel luogo dove la volontà popolare viene rappresentata attraverso le leggi dello Stato. I consigli comunali sono stati preceduti da assemblee e confronti pubblici molto partecipati. Dopo l’approvazione delle cinque delibere, si sono costituiti, un po’ dovunque, comitati del SÌ e comitati del NO. Il dibattito, anche intenso, ormai coinvolge gran parte della popolazione. La proposta ha avuto, ed ha, l’indiscutibile merito di aver posto pubblicamente questioni ormai ineludibili – l’autoriforma degli enti locali, la riduzione dei servizi pubblici per via della riduzione di risorse, l’urgenza di un nuovo progetto sviluppo, i rischi connessi ad un certo trend demografico, la riduzione delle spese – e di aver riattivato la passione per il confronto democratico e civile. Non c’è nulla di arrogante, né di tendenzioso in questo percorso. C’è una proposta votata dai Consigli Comunali (e che ha sorpreso, per coraggio e innovazione, la comunità umbra), c’è un iter istituzionale da concludersi con un referendum, c’è un confronto pubblico partecipato con passione e grande interesse. La parola definitiva spetterà ai cittadini. Perché vietare loro di esprimersi?
 

 
Pubblicato il 26/02/2014

 

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