Il duomo scintillante

 
 

da A. Conti, "Sul fiume del tempo", Riccardo Ricciardi Editore, Napoli, 1907, pp. 153-157

di Angelo Conti

Chi ascenda la collina d'Orvieto per vedere il capolavoro del Maitani, dopo i primi movimenti della funicolare, sente e sa di andare verso la luce. Ma non un sol uomo abituato alle più luminose vette dei monti, può presentire lo spettacolo che gli apparirà sulla maggiore altezza della città umbra. Immaginate tutte le cose più preziose della terra: l'oro, l'argento, le gemme, l'avorio, la porpora, i fiori; e tutte queste cose disposte in modo che le più belle siano poste più in alto, dove l'aria è più luminosa; immaginate tre cuspidi che incornicino il giardino aereo, limiti marmorei di quel paradiso; immaginate quattro torri che salgano tra i fiori e rechino sui fastigi dell'azzurro le statue dei santi implorate da coloro che fabbricarono questa maraviglia; ed avrete una prima idea, un riflesso lieve di ciò che è il Duomo d' Orvieto. Ma io non voglio e non debbo descrivere. Il sentimento è tutto, e la parola cercata faticosamente per esercizio letterario, è una vana ombra che offusca lo splendore del cielo. Debbo dunque dire quel che io sentii quando fui dinanzi al Duomo scintillante, raccontare lo stato del mio animo nel momento in cui mi parve che il capolavoro fosse in tutta la sua bellezza e in tutta la sua vita dinanzi agli occhi miei. Ecco quel che vidi; e giuro dinanzi a Dio che questa non è una descrizione.
Quattro larghe fasce d'avorio istoriate alla base dell'edifizio, quattro involucri, da cui partivano fasci di steli che nella loro maggiore altezza si trasformavano in pinnacoli. Nel centro una larghissima porta fregiata d'oro; ai lati altre due porte e sulle porte figure di santi tra i fiori e mostri di bronzo, viventi. Nel centro, sulla gran porta, una ruota marmorea in giro vorticoso fra santi immobili.
Il Duomo era tutto in ombra. Sulle cuspidi e sui pinnacoli passavano grandi nuvole bianche. Il sole scendeva verso l'occaso.
Ad un tratto lo spigolo destro, poi tutta la torre a destra cominciarono a risplendere; e in pochi istanti tutta la facciata che dormiva nell'ombra, si svegliò nella luce. I fregi, le tarsie, i mosaici scintillarono da ogni parte; da ogni parte s' intrecciarono i guizzi, i bagliori, i fulgori, come nel miro gurge dantesco; e tutta la cattedrale cantò nel sole la sua ardente e luminosa preghiera a Dio. Mai come in vetta a questa collina il genio umano ha innalzata una più eloquente preghiera alla divinità, se non forse nel canto del Paradiso in cui San Bernardo invoca la Vergine.
Tutto il Duomo, circondato da bianche nuvole e dal volo delle colombe, splendeva e cantava nell'aria primaverile in gloria della Vergine, dell'agnello mistico e di tutti i santi del paradiso, splendeva con tutti i fiori che la luce rendeva più fulgidi, con tutto l'oro che il tramonto rendeva più ardente, con tutti i colori che il sole rendeva più intensi, con tutta la mole della sua architettura che l'ora rendeva più bella e più musicale.
Nell'interno, silenzio solenne. I capitelli vegetali delle grosse colonne piegano in giro le loro larghe foglie; dalle finestre la luce penetra bionda come l'oro o ardente come il fuoco, a traverso l'alabastro. Verso gli archi alti nell'ampia navata non sale forse quella medesima preghiera che il sole poi nell'esterno trasforma in guizzi e in faville? Qui il cauto è grave; è la speranza della pace. Fuori è la gioia della beatitudine. Guardate la terza serie dei bassorilievi di destra sulla facciata: sono figure estatiche; e il marmo che alla base ha un colore di avorio cupo, diviene in quel punto chiaro come se una lampada ne irradiasse la interna compagine. Ma dov' è la beatitudine? Ho percorso quelle navate cercando una risposta, alla mia interrogazione. Nella navata traversa dove Luca Signorelli ha dipinto a destra la sua cappella tragica, ho veduto un paradiso terribile. Non è certamente questa la pace, in questo luogo dove le anime umane vivono le une accanto alle altre come isole, chiusa ciascuna in una spaventosa solitudine. Sull'arco d'ingresso della cappella è la famosa scena dei fulminati nel giudizio finale. A destra il sole e la luna si oscurano; a sinistra cade la folgore celeste e i dannati colpiti isolatamente o a gruppi, stramazzano al suolo. È una scena d'orrore rappresentata con una potenza drammatica che forse non ha confronti in tutta la storia della pittura, neanche in Tintoretto a San Rocco. Ma il dramma cresce d' intensità nella rete vicina, dove è rappresentata la Risurrezione. Quale spaventoso rinascere dei corpi degli uomini! In alto tre arcangeli che recano stendardi, suonano lunghissime trombe per risvegliare gli addormentati nel sonno della morte. Il vento agita violentemente le loro vesti e i loro stendardi, e tutta la scena sembra ripiena del vento impetuoso e dello squillare immenso. I morti escono in forma di scheletri da fori e da solchi della terra, con moti lenti, intorpiditi e come assonnati; quelli che. sono in piedi barcollano come ebbri e si appoggiano gli uni agli altri. In alto, sul capo degli arcangeli, un cielo stellato splende come una derisione su quel faticoso e tragico risveglio. Dov'è dunque la beatitudine?
È forse nelle promesse false e maligne che l'Anticristo, nel primo affresco a sinistra, fa agli uomini negli ultimi giorni del mondo? Ebbe una grande intuizione Luca Signorelli quando vestì d'oro quella figura satanica. L'oro, la ricchezza, considerati come il mezzo più potente per ottenere il godimento delle gioie terrene, sono appunto ciò che più si oppone alla essenza di Gesù e del suo insegnamento. Dove è dunque la pace?
Ma ecco la vela e lo scomparto dipinti sulla volta dall' Angelico. I santi, gli angeli, i profeti hanno il sorriso di chi è lontano dal mondo. Qui è passato l'orrore, qui ogni ricordo dell' esistenza è dileguato come nebbia al vento. Il mondo qui è lontano; ed è presente la luce che non ha tramonti. Le pitture di Luca Signorelli e le vicine immagini dell'Angelico aiutano a comprendere la vera essenza del Duomo d'Orvieto, del quale la facciata scintillante "clara micante auro, flammasque imitante pyropo", è un inno innalzato dal genio umano alla luce eterna, alla luce inestinguibile.

 

 

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