Parte seconda

 

di Renato Covino

La prima Camera del Lavoro di Terni nacque nel 1893. La politica autoritaria di Crispi portò rapidamente alla sua dissoluzione. Si tentò di ricostituirla nel 1896-1897, con scarso successo: le politiche repressive e la crisi di fine secolo ne bloccarono lo sviluppo. Solo il 3 marzo 1901, in un’assemblea a cui parteciparono circa 2.000 operai, fu possibile dare vita a un organismo camerale stabile per iniziativa dei socialisti, dei repubblicani e dei democratici.
Inizialmente costituita da 9 tra Leghe e Società di mutuo soccorso, nell’autunno del 1901 la Camera del Lavoro raggiungeva i 4.810 soci appartenenti a 18 Associazioni. La Lega di resistenza dei metallurgici ne è la struttura più forte. Essa sarà tra i promotori del congresso di fondazione della FIOM che si terrà Livorno il 16, 17 e 18 giugno 1901. Tullio Mariani e Costantino Fusacchia, due tornitori delle Acciaierie, furono relatori sugli Orari di lavoro e sulla Legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli. Al II congresso tenutosi a Milano nel 1903 a entrambi affidata la relazione su Orari e salari.
Questa crescita dell’organizzazione operaia e dei metallurgici in particolare è il frutto di molteplici elementi in molti casi contraddittori e in conflitto tra loro. All’interno della Camera del Lavoro la polemica costante tra repubblicani e poi sindacalisti rivoluzionari, da una parte, e socialisti riformisti, dall’altra, svela una divergenza di vedute politiche che è anche differenza di punti di riferimento sociali e culturali. Se i socialisti riformisti puntavano più sull’assunzione della rappresentanza operaia, gli altri gruppi politici sceglievano la gestione del conflitto e l’insubordinazione in fabbrica. Nella fase specifica questi ultimi risultano vincenti, in quanto espressione di quella cultura sovversiva così ben descritta da Gianfranco Canali nel 1989 nel volume Einaudi sull‘Umbria della collana sulla storia delle regioni dall’Unità a oggi. Tale cultura trae origine da alcuni elementi che è bene sottolineare.
Il primo è l’orgoglio del mestiere, ossia la consapevolezza di esercitare un ruolo insostituibile nella produzione, frutto di abilità lavorative non sostituibili dalla macchina. Ciò concede un margine di vantaggio ai lavoratori, soprattutto agli specializzati, spesso provenienti da altre zone d’Italia, che riescono a contrattare salari e organizzazione del lavoro indipendentemente dalla stessa struttura sindacale e ricorrono alla coalizione e all’organizzazione solo nelle fasi acute dello scontro.
Il secondo è una cultura omogenea che nasce dalla famiglia operaia e che fonda la stessa comunità operaia. Al suo fondo sta la ripulsa per i gruppi sociali benestanti, per la gerarchia di fabbrica, una solidarietà fortissima di gruppo, una propensione verso l’atto esemplare (l’attentato al capo officina o al capo fabbrica per un’ingiustizia subita, il sabotaggio, la rivolta di piazza, ecc.).
Infine, una propensione a costruire, come scrive sempre Canali, una sorta di “cittadella proletaria”, una comunità autosufficiente, con una forte identità che si tramuta in rapporti di vicinato, nelle piccole solidarietà quotidiane, in forme di ritualità, in luoghi di ritrovo, nelle culture diffuse. Lo sciopero/serrata del 1907 contiene tutti questi elementi. Sono noti gli elementi che portarono a questo conflitto.
Nel 1905 la Società Terni proponeva un regolamento per i dipendenti a cui la Lega dei metallurgici riteneva si dovessero apportati alcuni emendamenti. La Società ritirò il regolamento e promise la redazione di un nuovo testo. Dati i ritardi 300 meccanici delle Acciaierie scioperano per 30 giorni fino a ottenere la promessa che il regolamento sarebbe stato presentato non oltre il 31 marzo del 1907. Così avvenne, ma la Società Terni si rifiutò di concordare il testo con gli operai, che allora decisero di non firmarlo. L’Azienda promosse allora una serrata e decise per il licenziamento dei 24 operai membri del Comitato di agitazione. La serrata durò 93 giorni. Il concordato fu firmato il 23 agosto del 1907. Vennero accolte alcune richieste operaie, ma vennero confermati i 24 licenziamenti. Ai licenziati venne accordata un’indennità di 35.000 lire.
Fin qui i fatti, ma all’interno di questa lunga vertenza ci sono:

  • gli scontri tra i riformisti e le altre componenti della Camera del Lavoro,
  • la solitudine in cui la Lega ternana viene lasciata dalla FIOM nazionale, contraria allo sciopero,
  • l’intervento della comunità operaia rappresentata dall’intervento delle donne degli operai nel conflitto, in opposizione alla propensione alla trattativa dei lavoratori,
  • il rapporto con le altre comunità operaie italiane che ospitano i figli dei serrati, ecc.

Insomma, la serrata rappresenta uno scatto nella “socializzazione della resistenza”. Per dirla sempre con Gianfranco Canali “La lotta… non riguarda solo i lavoratori ma l’insieme del loro universo”. Ma la serrata del 1907 impedirà “che – come avrebbero voluto i socialisti riformisti – tra la gran massa dei lavoratori coscienza di sé… e crescita organizzativa si sviluppino e procedano parallelamente”. Si inasprirà anzi lo scontro tra le diverse componenti politiche presenti nella Camera del Lavoro. La Lega di resistenza dei metallurgici uscirà dalla FIOM. I caratteri dell’organizzazione operaia ternana saranno fino agli anni venti segnati dall’esplosione rivendicativa e dall’azione di piazza, gestita soprattutto dai sindacalisti rivoluzionari e dagli anarchici. In questo clima si contratterà e si sciopererà di meno e si manifesterà di più. La Camera del Lavoro entrerà in crisi e riuscirà a riprendere la sua attività solo nel 1909.
Terni diverrà, così, terreno di iniziativa delle correnti più radicali del movimento operaio italiano. L’organizzazione ternana, formalmente non aderente a nessuna centrale nazionale, iniziò a gravitare nell’orbita dell’Unione Sindacale Italiana (USI), la Confederazione fondata dai sindacalisti e dagli anarchici nel novembre 1912. L’8 giugno 1914 15.000 lavoratori ternani scesero in piazza in occasione della “settimana rossa”, invocando la Repubblica. Il 19 e il 20 luglio dello stesso anno, nel primo congresso camerale, 64 dei 74 delegati votarono per l’adesione alla Confederazione anarco-sindacalista. Il nome del giornale della Camera del Lavoro fu cambiato da “La Voce operaia” in “La “Sommossa” Nella primavera del 1915 i socialisti ternani si scissero dalla Camera del Lavoro sindacalista per dar vita ad una nuova struttura sindacale che riprendesse le tradizioni originarie.

 
 
 

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