Parte terza

 

di Renato Covino

Tradizione sovversiva, peso della comunità operaia, cultura del conflitto giocano un ruolo importante nel primo dopoguerra. Tra il 1919 e il 1920 Terni non è protagonista di grandi agitazioni operaie, piuttosto vede realizzarsi due elementi apparentemente contraddittori, ma che in realtà altro non sono che l’eredità della fase precedentemente descritta.
Da una parte aumenta, malgrado la divisione tra Confederazione Generale del Lavoro (CGL) e USI, il peso dell’organizzazione sindacale. Nel 1920 la Camera del Lavoro sindacalista organizza 29 Leghe con 3.549 soci, quella della CGL 15 Leghe con 3.702 iscritti. Su 7.251 organizzati dalle due Camere del lavoro i metallurgici e i meccanici raggiungevano i 3.993, oltre il 55%, di cui la metà circa aderenti alla rinata sezione della FIOM ternana.
A questo rigoglio organizzativo non corrisponde peò una ripresa di conflitto in fabbrica. La spinta del biennio rosso si esprime a Terni nelle manifestazioni di piazza come quelle del I Maggio, oppure quella del 28 giugno 1920 dove la polizia sparò sulla folla provocando 5 morti. In tutta l’Umbria gli scioperi dei metallurgici sono 9 con 1.314 partecipanti per 5.469 giornate complessive: molti meno di quanti avevano scioperato nel 1917 in piena guerra solo alle Acciaierie ternane.
E tuttavia, la cultura della resistenza accumulata nel primo ventennio del secolo, consente ai lavoratori ternani di resistere con maggior forza organizzativa e “militare” all’offensiva fascista. La conquista squadrista della città avverrà solo nel settembre 1922, cioè alla vigilia della Marcia su Roma. Significativo è anche il modo in cui avviene, attraverso l’intervento in una vertenza di lavoro alle Acciaierie di cui i fascisti rivendicheranno la chiusura, “occupando” lo stabilimento e “imponendo” la firma dell’accordo alla direzione aziendale. Insomma, i fascisti ratificano la presa di Terni atteggiandosi a difensori dei lavoratori. In realtà lo fanno in accordo sotterraneo con i vertici dell’impresa e, malgrado le ventate di autonomia nei confronti della Società Terni, saranno costretti a piegarsi alla strategia perseguita da Arturo Bocciardo per far uscire l’impresa dalla crisi. Tale strategia era basata sulla fusione con la Società Italiana del Carburo di Calcio, il cui pacchetto azionario era detenuto come per la Società Terni dalle grandi banche nazionali. La nuova impresa avrebbe così controllato il 70% del sistema idrografico Nera-Velino e sarebbe potuta entrare nel novero dei grandi produttori e distributori di energia elettrica, compensando in questo modo le perdite del comparto siderurgico. Ma per poter assumere appieno tale ruolo la Società Terni avrebbe dovuto avere il controllo totale del sistema Nera-Velino, acquisendo anche il restante 30% ancora nelle mani degli enti locali, tra cui il Comune di Terni, fieramente avverso alla privatizzazione delle acque.
E’ proprio sul controllo del bacino del Nera-Velino che si costruisce l’accordo conflittuale tra fascismo e Società Terni destinato a durare per venti anni. Nel 1927 la Società conquista definitivamente il diritto d’uso dell’intero potenziale idrico del ternano. In cambio il Comune ottiene la costruzione di 5.000 alloggi operai e l’assunzione della gestione da parte della Società Terni dell’impianto elettrico e delle tramvia Terni-Ferentillo. E’ l’inizio di quel processo che è stato definito di costruzione della “fabbrica totale”: l’assetto urbano della città viene plasmato sulle esigenze dell’azienda e il controllo viene esteso all’intero ciclo vitale dei lavoratori: spacci, impianti sportivi, abitazioni, cinema e teatri sono di proprietà della Società Terni. L’istituzione del Dopolavoro rafforza questo processo di integrazione-subordinazione degli operai. Contemporaneamente, si provvede a sventagliare su 32 posizioni i livelli i salari degli operai delle Acciaierie in una logica di differenziazione che costituisce l’asse portante della filosofia dell’azienda nei confronti del personale, tanto da provocare le reazioni del sia pur collaborativo sindacato fascista. Il fatto è che Società Terni attraverso la massa salariale che eroga controlla la vita economica dell’intera Conca Ternana. Salari e stipendi, per contro, non subiscono, nel settore siderurgico, sostanziali ritocchi, tranne nei periodi più intensi di crisi in cui i poteri centrali prevedono il ridimensionamento delle retribuzioni. Allo stesso modo l’occupazione rimane mediamente costante.
E’ tutto questo che porta a interiorizzare il modello dell’azienda polisettoriale da parte degli stessi lavoratori, come garanzia del salario e dell’occupazione, specie a partire dal 1933, quando il controllo della società passerà allo Stato attraverso l’IRI. C’è in questo una rottura, che probabilmente trae origine dal peso diminuito degli operai di mestiere in un periodo di contrazione delle libertà sindacali e di contrattazione, in tale quadro la comunità operaia si travasa nella comunità rappresentata dalla fabbrica; interiorizza il modello bocciardiano, anche quando si oppone al fascismo, identificandolo con la gerarchia aziendale e con la Società Terni; trasforma l’orgoglio del mestiere in patriottismo aziendale. Insomma, la “fabbrica totale” è il modello di relazioni attraverso cui transitano la comunità operaia, l’orgoglio del mestiere, le solidarietà diffuse.

 
 
 

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