Il territorio della provincia di Terni in prospettiva storica

 

di Augusto Ciuffetti

Se per l’Umbria nel suo complesso è difficile definire un territorio unitario, in grado di sorreggere, in una prospettiva storica, i processi di “regionalizzazione” e di “centralizzazione” [i] , ancora più complessa risulta la stessa operazione in riferimento ad un territorio locale dagli incerti confini come la provincia di Terni, caratterizzato da un elevato grado di frammentazione e pervenuto ad una sostanziale unità ed autonomia amministrativa soltanto nel 1927. Prima di procedere all’individuazione dei caratteri originali del paesaggio di questo territorio, è pertanto necessario seguirne, brevemente, l’evoluzione istituzionale.
All’inizio dell’età moderna, i territori dell’Umbria meridionale sono tutti compresi nel ducato di Spoleto, ad eccezione di quello di Orvieto inglobato nel Patrimonio di San Pietro. Quando Perugia nel 1540 entra a pieno titolo a far parte dello Stato pontificio, diventando il capoluogo della relativa legazione, Terni e il suo territorio, insieme a Rieti, si trovano a dipendere direttamente dalla città umbra, mentre Amelia viene dotata di un proprio governatore. Nella seconda metà del secolo, però, quest’ultimo centro perde la sua autonomia ed entra a far parte del Patrimonio di San Pietro, dove già si trova la città di Orvieto con il suo territorio, mentre Terni, Rieti e Narni ottengono il governatore di breve [ii] .
All’evoluzione di questi confini amministrativi corrisponde, dal Cinquecento in poi, una ricca produzione cartografica, che per la sua natura di carattere politico, non consente di leggere gli aspetti fisici del territorio nel suo complesso; la configurazione delle campagne è infatti ignorata. Del resto, lo scopo di queste carte geografiche, con le quali inizia la cartografia “ufficiale”, è proprio quello di indicare, con la maggiore esattezza possibile, i confini dei diversi domini delle città, delle province, dei ducati o dei feudi, presenti in un determinato territorio [iii] . Solitamente gli unici elementi del paesaggio riportati in queste carte sono le reti idrografiche e i rilievi montuosi. Come gli insediamenti, questi ultimi sono rappresentati con una proiezione in prospettiva, che contrasta con quella geometrica che ordina il resto della carta, strade e fiumi compresi. Si pone, così, un problema, quello di coniugare insieme geometria e paesaggio, inteso quest’ultimo come disegno artistico, che viene risolto soltanto nel corso dell’Ottocento [iv] .
In mancanza di particolari elementi di riferimento, come i reticolati geografici, nella cartografia del tempo le montagne e le acque rappresentano l’unico sistema di inquadramento, all’interno del quale collocare circoscrizioni amministrative e città. Sono queste ultime, con il reticolo stradale che le collega, ad essere le vere protagoniste della rappresentazione cartografica. Nelle carte del XVI e del XVII secolo, ai fiumi, per la loro importanza nella configurazione geografica dell’Italia, è riservata un’attenzione particolare. Spesso sono individuati come le linee naturali per la demarcazione dei confini politici, mentre la stessa rappresentazione delle montagne avviene in funzione dei corsi d’acqua. Tutto ciò, comunque, è anche il riflesso di un periodo storico, il Cinquecento, caratterizzato da significativi interventi nella sistemazione della rete idrica, rivolti ad un attento controllo del territorio [v] . In alcuni casi, come nella carta dell’Umbria di Jean Bleau, figurano anche indicazioni di importanti aree boschive e paludose. Si tratta, comunque, sempre di informazioni parziali e caratterizzate da un eccessivo schematismo, che non consente di cogliere le effettive trasformazioni del paesaggio.
Lo stesso schematismo si rinviene anche in un altro genere di cartografia, che progressivamente si afferma nella seconda metà del XVIII secolo: quello delle mappe poste a corredo delle numerose guide turistiche utilizzate dai viaggiatori del Grand Tour [vi] . Come emerge dalla carta del 1817 nella quale è riprodotto il tragitto da Firenze a Roma, attraverso Perugia ed Acquapendente, gli unici elementi riportati sono le strade, i fiumi, i laghi e le località più importanti. Uno strumento poco utile, quindi, per una corretta lettura del territorio.
Nel corso del Seicento, negli assetti territoriali dell’Umbria meridionale, emergono ulteriori particolarismi, che mettono in crisi ogni tentativo di centralizzazione. Nell’ambito del Patrimonio, Orvieto conquista una maggiore autonomia rispetto a Viterbo, mentre Amelia torna a far parte dell’Umbria. Se Rieti ed una porzione del suo territorio restano legate a Perugia, Otricoli, Stroncone e Calvi entrano a far parte, invece, della provincia della Sabina di nuova costituzione. Altre modifiche si realizzano nella prima metà del Settecento e alla fine del secolo l’attuale provincia di Terni risulta suddivisa tra lo Stato di Orvieto, il governo di Narni, che comprende anche Stroncone, e il Governo di Terni. Amelia e Calvi sono sedi di governi, mentre Acquasparta, Baschi, Sangemini e altre comunità minori sono ancora sottoposte a giurisdizioni feudali. Realtà a sé sono le Terre Arnolfe e il ducato di Ferentillo.
Questa frammentazione viene superata soltanto a fine Settecento, durante il periodo francese. Gran parte della provincia ternana, suddivisa nei cantoni di Amelia, Narni e Terni, viene inclusa nel dipartimento del Clitunno con capoluogo Spoleto. Orvieto, invece, resta legata a Viterbo nel dipartimento del Cimino. Negli anni dell’Impero l’intera Umbria, Orvieto compresa, è inserita nel dipartimento del Trasimeno, con capoluogo Spoleto. Soltanto Narni e Stroncone ne restano escluse, assegnate al Circondario di Rieti, nell’ambito del dipartimento del Tevere.
Nel 1817, con la Restaurazione, dopo una prima sistemazione individuata l’anno precedente, i comuni che compongono l’attuale provincia di Terni, al di là della loro particolare classificazione amministrativa, vengono suddivisi tra i distretti di Spoleto e Terni (delegazione di Spoleto), quello di Todi (delegazione di Perugia), quello di Poggio Mirteto (delegazione di Rieti) e quelli di Viterbo e Orvieto (delegazione di Viterbo). Non si tratta, però, di una sistemazione definitiva, anche se nelle modifiche apportate a questo assetto nei decenni successivi e in particolare nel 1831-1833, si tende ad inglobare l’Umbria meridionale, tranne qualche eccezione (Baschi e Montecchio nel distretto di Todi, delegazione di Perugia e Ferentillo nel distretto e delegazione di Spoleto), nei due distretti di Terni e Orvieto, rispettivamente posti nelle delegazioni di Spoleto e della stessa Orvieto.
Analoga tendenza si riscontra nelle riforme amministrative varate nel 1850, anche se la provincia di Orvieto viene inclusa nel circondario di Roma. In un’unica legazione dell’Umbria sono invece sistemate le province di Perugia, Spoleto e Rieti, chiara anticipazione dell’assetto istituzionale dato a questo territorio dopo l’Unità. Nella nuova grande provincia dell’Umbria che nasce nel 1860 con capoluogo Perugia entrano anche Orvieto con il suo territorio e il governo di Gubbio. Per la prima volta Terni è sede di circondario (con i comuni che a metà Ottocento figurano nei governi di Terni, Narni e Amelia), al pari delle altre maggiori città della provincia, ed è autonoma rispetto a Spoleto. Questo assetto, per quanto riguarda l’Umbria meridionale, resta sostanzialmente immutato fino agli anni Venti del Novecento.
L’ultimo passaggio è la costituzione della provincia di Terni che nasce nel 1927 dall’unione, seppur tra molti contrasti, dei due circondari di Terni e Orvieto (quest’ultimo privato dei comuni di Città della Pieve, Paciano e Panicale), ai quali si aggiunge il centro di Baschi [vii] . In considerazione di questa evoluzione amministrativa, appare evidente come i diversi territori che costituiscono la provincia ternana abbiano ognuno una propria caratterizzazione, che inevitabilmente si riflette anche sugli assetti del paesaggio agrario.

[i] Si veda Roberto Volpi, Le regioni introvabili. Centralizzazione e regionalizzazione dello Stato pontificio, Bologna, Il Mulino, 1983; Alberto Grohmann, Caratteri ed equilibri tra centralità e marginalità, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. L’Umbria, a cura di Renato Covino e Giampaolo Gallo, Torino, Einaudi, 1989, pp. 5-52; Regionalizzazione e regionalismo nell’Italia mediana. Orientamenti storici e linee di tendenza, atti del convegno di Perugia del 4 novembre 1994, a cura di Giacomina Nenci, Ancona, Quaderni monografici di “Proposte e ricerche”, n. 19, 1995.
[ii] Renato Covino, L’Umbria meridionale dalle partizioni amministrative pontificie alla Provincia di Terni, in Dal decentramento all’autonomia. La Provincia di Terni dal 1927 al 1997, a cura di Id., Terni, Provincia di Terni, 1999, pp. 16-17.
[iii] Massimo Quaini, L’Italia dei cartografi, in Storia d’Italia, vol. VI, Atlante, Torino, Einaudi, 1976, pp. 14-16.
[iv] Id., Per una archeologia dello sguardo topografico, cit., pp. 15-17.
[v] Carla Migliorati, La cartografia dell’Umbria nei secoli XVI-XVIII, in Orientamenti di una regione attraverso i secoli: scambi, rapporti, influssi storici nella struttura dell’Umbria, atti del X convegno di studi umbri, Gubbio 23-26 maggio 1976, Perugia, Università degli Studi di Perugia, 1978, pp. 97-108; Francesca De Meo, Le acque negli atlanti e nella cartografia ufficiale, in L’Umbria e le sue acque, cit., pp. 34-44; Roberto Volpi, La regione immaginata. L’Umbria nella cartografia, Perugia, Mediocredito dell’Umbria, 1993; Ugo Tucci, Credenze geografiche e cartografia, in Storia d’Italia, vol. V, cit., tomo I, pp. 62-66.
[vi] In riferimento all’Umbria, si veda Alberto Sorbini, La via Flaminia. Otricoli Narni Terni Spoleto Foligno nei racconti dei viaggiatori stranieri del Settecento, Foligno, Editoriale Umbra, 1997.
[vii] Per un quadro più completo si rimanda a Renato Covino, L’Umbria meridionale dalle partizioni amministrative pontificie alla Provincia di Terni, cit., pp. 11-73.

 
 
 

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