Parte sesta

 

di Renato Covino

La ripresa sindacale, che inizia con la fine degli anni sessanta, vede tuttavia entrare in campo un nuovo sindacato e una nuova tipologia di militante. La lunga resistenza che va dal 1953 al 1968 aveva sì dimostrato la capacità di resistenza di un quadro sindacale fortemente legato alla tradizione e alla memoria storica, ma non aveva intercettato i giovani operai che erano entrati, durante gli anni sessanta, negli stabilimenti e che erano portatori di un’identità in cui gioca solo in parte il mito del passato, che convive con nuovi modelli culturali, nuovi consumi, maggiore scolarizzazione. Come è stato scritto “ciò che rende diversa la loro formazione politica e culturale è il fatto di non essere avvenuta a esclusivo contatto con la tradizione e la mentalità della ‘cittadella proletaria’”. Ciò consente loro di comprendere il nuovo clima sindacale e politico, di farsene interpreti, in un momento in cui appare urgente ridefinire il ruolo della Società Terni nella siderurgia pubblica dopo la fine del modello polisettoriale avvenuto con la nazionalizzazione dell’energia elettrica e con lo scorporo del settore chimico. In tale quadro di sperimentazione e di ricerca, il sindacato diviene una reale controparte dell’azienda. La recuperata unità dei lavoratori, a partire dai primi anni settanta, che si espresse nel Consiglio di Fabbrica unitario e nella costituzione della Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM), aumentò il potere contrattuale del sindacato, consentendo di conquistare migliori condizioni di lavoro in fabbrica e una tutela più attenta della salute che si concretizzò nei servizi di medicina del lavoro, a cui diedero un importante contributo anche le amministrazioni locali. Ma si configurò anche in un tentativo di contribuire a definire – in modo autonomo – una politica industriale che mantenesse il ruolo strategico della Società Terni. Tale scelta avrà come interlocutore attento Gianlupo Osti – amministratore delegato e presidente della Sociatà –, che individuava negli acciai speciali e nelle seconde lavorazioni gli assi portanti di un nuova centralità dell’azienda all’interno della siderurgia pubblica.
E’ noto come è finita l’esperienza Osti, così come è noto come si siano definite le nuove strategie produttive dell’impresa. Sempre più si sono sacrificate le seconde lavorazioni e si è concentrato lo sforzo sui lamierini magnetici e sull’inossidabile, cioè su prodotti commerciali di qualità.
Tali scelte sono maturate in un contesto, come quello degli anni ottanta, di crisi della siderurgia europea e mondiale, che è essenzialmente una crisi di sovrapproduzione. In una prima fase sembrò che la riorganizzazione della Società, che assume la denominazione di AST - Acciai Speciali Terni, spingesse per una specializzazione nei settori dell’inossidabile, dei laminati inossidabili e magnetici e dei getti e fucinati, insomma in una riedizione del progetto di Osti. Nella seconda fase – che inizierà nel 1987 e si realizzerà compiutamente con lo scioglimento della Finsider e la costituzione dell’Ilva l’1 gennaio 1989 – sancirà per le Acciaierie ternane la separazione tra il settore fucinati e getti e quello della produzione degli acciai speciali. Quest’ultimo sarà organizzato in una società autonoma e, sostanzialmente, ridimensionato. Venne così posta in discussione quella che veniva considerata la dimensione strategica dell’impresa, ossia le lavorazioni sidero-meccaniche. Su queste basi inizia il risanamento impiantistico e finanziario dell’impresa. Ma le vicende della Società Terni non sono le uniche che caratterizzano il settore metallurgico e meccanico a Terni negli anni ottanta e novanta. A esse di affianca la crisi della Bosco che, dal controllo della tedesca Thyssen (1966), passa al settore pubblico nel 1972, per essere ceduta a Morandini nei primi anni novanta. Inizia un processo di decadenza, in cui si alternano fasi di lotta per il rilancio dell’impresa e per la difesa dell’occupazione che vedranno protagonisti i lavoratori e il sindacato. L’incapacità di costruire una strategia industriale porterà all’attuale situazione di fallimento, all’esaurirsi di una delle più significative esperienze imprenditoriali di Terni.
La FIOM ternana si trova così a operare tra anni ottanta e novanta in un quadro di crescenti difficoltà che mette in discussione la stessa fisionomia e caratterizzazione dell’industria e della classe operaia ternana, il suo peso relativo nella città e la stessa identità di quest’ultima. Alle Acciaierie, in una prima fase, il sindacato puntò a impedire che venissero progressivamente ridimensionate le lavorazioni sidero-meccaniche, quelle che giustificavano il carattere pubblico dell’azienda. Si trattò di una battaglia non facile, in una fase di crisi generale del settore, in cui si facevano avanti agguerriti concorrenti pubblici e privati, prima tra tutti l’Ansaldo. Si contrattarono, così, ridimensionamenti consistenti di personale, si sacrificò l’occupazione pur di garantire il futuro dell’azienda. Lo scorporo e il definitivo ridimensionamento del settore fucinati e getti costituì un momento di ripiegamento e di riflessione. Era entrata in crisi una strategia maturata e costruita nel corso di oltre un ventennio, mutava – peraltro – il quadro generale all’interno del quale il sindacato era costretto ad agire, mentre si allentavano i legami unitari con le altre organizzazioni di categoria che avevano consentito di esercitare un peso e un condizionamento sulle e delle scelte aziendali. Al tempo stesso tutto spingeva – nel momento in cui andava a esaurirsi il ruolo strategico della siderurgia pubblica e avanzava il vento delle privatizzazioni – per un drastico ridimensionamento dell’azienda. Salvaguardare a tutti i costi l’esistenza della Società Terni divenne così il terreno di resistenza su cui si attestò il sindacato. Anche in questo caso fu necessario affrontare nuove riduzioni di personale in cambio di investimenti che rendessero competitiva l’impresa, che sempre più si avviava a operare nel settore degli acciai speciali commerciali. E’ in questo quadro che matura il definitivo risanamento e la privatizzazione delle Acciaierie. L’azienda è oggi in grado di operare sul mercato “globale” come si ama oggi dire, di essere competitiva, mentre crescente è il flusso di investimenti e si registrano positivi segnali per quanto riguarda l’occupazione. E’ questo un risultato non scontato, se confrontato con altre realtà siderurgiche italiane, frutto anche dell’impegno e delle capacità di contrattazione del sindacato ternano e, in prima fila, della FIOM. Ma è anche un risultato costoso. Oggi la tradizione e la memoria storica giocano un ruolo ancora meno forte che alla fine degli anni sessanta. Di quella che Canali chiama la “cittadella proletaria” rimangono solo sbiaditi echi e incerti ricordi. Contemporaneamente avanza una nuova idea padronale di relazioni sindacali che tende a restringere il ruolo e la funzione del sindacato. Occorre, allora, contemporaneamente produrre una nuova, moderna, cultura sindacale e recuperare la memoria critica del proprio passato. Attraverso questi due capisaldi passa la costruzione di una nuova identità e di un rinnovato ruolo dei metalmeccanici ternani nella società cittadina. Un verso dell’Internazionale nella sua versione francese recita: du passé nous faison table rase (del passato facciamo tavola rasa): è questo un lusso che i lavoratori in genere e i metalmeccanici ternani in particolare nell’attuale congiuntura politica e sindacale non possono permettersi.

 
 
 

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