La rappresentazione del territorio tra cartografia e cultura figurativa

 

di Augusto Ciuffetti

La rappresentazione e la misurazione del territorio rispondono da sempre a peculiari esigenze di conoscenza complessiva del territorio stesso, ma l’attenzione nei confronti della rappresentazione cartografica del paesaggio, da intendere, quest’ultimo, come il risultato di una successione cronologica di diverse organizzazioni territoriali, che nel tempo si caricano di propri significati paesaggistici [i], è un fenomeno dell’età moderna, che si afferma, dopo la stagione rinascimentale, nel XVII secolo, parallelamente alla nascita della filosofia della natura. Ciò dà luogo ad una iconografia del paesaggio più oggettiva, libera dalle allegorie religiose e mitiche del medioevo [ii] .
È nell’Olanda del Seicento, che gli artisti introducono per la prima volta la cartografia nei dipinti, mentre si afferma definitivamente la veduta topografica [iii] . Innovazioni e sperimentazioni che si devono ad una precoce sensibilità nei confronti della rappresentazione del territorio, legata alla costante ricerca di delicati equilibri tra spazi terrestri e marini. L’acqua, come elemento fondamentale del paesaggio, è infatti presente, con profondi significati politici e culturali, nella maggior parte della ricca produzione pittorica dell’Olanda del secolo d’oro [iv] .
Contemporaneamente, si afferma anche la raffigurazione scientifica del territorio, che comporta la netta distinzione tra la rappresentazione artistica e quella topografica del paesaggio. Ciò avviene all’inizio dell’età moderna, dopo la definitiva separazione tra la cultura figurativa e quella cartografica [v] ; quest’ultima, sorretta da una solida base di conoscenze teoriche a carattere scientifico, e dalle esigenze politiche dello Stato moderno, che deve individuare con esattezza i propri confini e l’estensione sul territorio dei poteri locali, conquista una dimensione autonoma rispetto alla prima. Si produce, così, il passaggio dalla cartografia fantastica medievale a quella scientifica del XVII secolo, presupposto dei catasti geometrici particellari del Settecento e dell’Ottocento [vi] . Il XVIII secolo costituisce una sorta di spartiacque: la cartografia, grazie al progresso delle tecniche di rilevazione e di lettura del territorio, conosce un ulteriore sviluppo, mentre in Italia si assiste alla nascita del catasto geometrico particellare. Si tratta di uno strumento tecnicamente più avanzato, per oggettività e precisione, dei precedenti catasti descrittivi, già presenti in età medievale, ma più approssimativi, in quanto basati su autodenunce dei proprietari, inclini a sottostimare i propri beni per evadere la tassazione. La novità del catasto geometrico particellare non è soltanto di carattere fiscale: dal punto di vista cartografico introduce, per la prima volta, la rappresentazione planimetrica. Quest’ultima, nel corso del Settecento, si affianca a quella in prospettiva a volo d’uccello (lo spazio da riprodurre è visto come da un volo o da un rilievo che lo domina), predominante nei due secoli precedenti, ed utilizzata principalmente in mappe e immagini di città.
Il catasto, quindi, con la misurazione geometrica del territorio, volta ad accertare correttamente l’estimo o il valore dei beni immobili e con la rappresentazione grafica delle singole parti degli stessi (appezzamenti o particelle che appartengono ad un singolo proprietario), nasce come strumento fiscale di amministrazioni statali che vedono aumentare il loro fabbisogno finanziario. Esso, in effetti, è il risultato finale della registrazione di tutti i beni immobili di uno Stato, indispensabile per accertare la proprietà ed eventuali variazioni e per determinare il suo valore o reddito, sul quale applicare la tassazione. Nello stesso tempo, il catasto si configura anche come uno strumento politico per l’affermazione del potere centrale dello Stato assoluto, su tutte quelle forze intermedie e periferiche, costituite da corporazioni, parlamenti e ceti sociali, tradizionalmente depositari di privilegi e poteri. Non solo; l’obiettivo è anche quello di favorire, dopo l’accertamento del valore delle proprietà, lo sviluppo dell’agricoltura, mediante l’introduzione di migliorie e nuovi criteri produttivi [vii] . Il catasto, dunque, strumento di lotta politica ed espressione di una volontà riformatrice, si presta anche per una attenta lettura del paesaggio rurale ed urbano e delle sue trasformazioni [viii] .
In alcuni stati italiani, come nella Lombardia di Carlo VI e di Maria Teresa d’Austria, dove più forte è l’influenza dell’Illuminismo, ma soprattutto la necessità di razionalizzare il sistema tributario, ancor prima della diffusione della cultura dei lumi, il catasto geometrico particellare inizia ad essere realizzato nella prima metà del Settecento [ix] . Nello Stato pontificio, invece, per un catasto generale di tutto il territorio, proposto dal governo centrale con criteri omogenei e con le caratteristiche di quello lombardo, bisogna attendere i primi anni dell’Ottocento. Per tutto il XVIII secolo, infatti, anche se non mancano singole comunità che realizzano catasti geometrici particellari [x] , nello Stato della Chiesa, in assenza di una concreta volontà riformatrice, si continua ad utilizzare il sistema delle assegne, cioè delle autodenunce dei proprietari. Con queste caratteristiche nasce il catasto “piano”, dal nome del pontefice Pio VI ed eseguito a partire dal 1777, tra l’altro privo di rilevazioni cartografiche [xi] .
Il primo catasto geometrico particellare dello Stato pontificio è quello “gregoriano”, dal nome di Gregorio XVI, sotto il cui pontificato viene realizzato. Attivato nel 1835, esso si ispira a quello iniziato dai francesi nel 1807 nei territori del Regno d’Italia, ad esclusione delle province del Lazio e dell’Umbria annesse all’Impero [xii] . Con l’adozione di un attento regolamento per la misurazione dei terreni, con la rilevazione delle mappe, effettuata tra il 1818 e il 1822, con l’utilizzazione del sistema metrico decimale e con l’individuazione di un elenco dei diversi tipi di coltivazione, il catasto gregoriano si presenta come il primo strumento per una corretta analisi del paesaggio agrario dell’Italia centrale e nello specifico dei diversi territori che compongono la provincia di Terni.

[i] Paola Sereno, L’archeologia del paesaggio agrario: una nuova frontiera di ricerca, in Capire l’Italia, vol. V, Campagne e industrie. I segni del lavoro, Milano, Touring Club Italiano, 1981, pp. 24-25. Più in generale, sul concetto di paesaggio nelle sue implicazioni cartografiche, che pongono il problema del rapporto tra disegno artistico e disegno topografico, si vedano gli interventi di Franco Farinelli, L’arguzia del paesaggio e di Massimo Quaini, Per una archeologia dello sguardo topografico, in Il disegno del paesaggio italiano/The design of the Italian landscape, in “Casabella”, n. 575-576, 1991, pp.10-17.
[ii] Bruno Pedretti, Introduzione, o Della natura intelligente, ivi, p. 5.
[iii] Ibidem.
[iv] Martin Van Gelderen, Acqua: la geografia morale della cultura repubblicana olandese, Perugia, Dipartimento di scienze storiche, 1999.
[v] Si vedano le riflessioni di Giovanni Romano, Documenti figurativi per la storia delle campagne nei secoli XI-XVI, in Id., Studi sul paesaggio. Storia e immagini, Torino, Einaudi, 1991, pp. 67-72.
[vi] Carla Migliorati, La cultura cartografica del XVI al XIX secolo: paesaggio, territorio, progetto, in L’Umbria e le sue acque. Fiumi e torrenti di una regione italiana, a cura di Alberto Grohmann, Perugia, Electa/Editori Umbri Associati, 1990, pp. 113-122.
[vii] Renato Zangheri, I catasti, in Storia d’Italia, vol. V, I documenti, Torino, Einaudi, 1973, tomo I, pp. 761-768; Id., Catasti e storia della proprietà terriera, Torino, Einaudi, 1980; Giuliana Biagioli, I catasti, in Vita civile degli italiani. Società, economia, cultura materiale, vol. IV, Ambiente e società alle origini dell’Italia contemporanea 1700-1850, a cura di Lucio Gambi, Milano, Electa, 1990, pp. 26-39.
[viii] Paola Sereno, La rappresentazione dello spazio urbano e rurale: la carta e il cabreo, ivi, p. 12.
[ix] Si veda Renato Zangheri, I catasti, cit., pp. 768-806.
[x] In riferimento all’Umbria, si veda Rita Chiacchella, Ricchezza, nobiltà e potere in una provincia pontificia. La “misura generale del Territorio Perugino” del 1727, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1996; Daniela Sinisi, Catasti settecenteschi prima del catasto piano: catasti locali, geometrico-particellari e indirizzi politici dell’amministrazione centrale in materia catastale, ed Elisabetta Arioti, Catasti geometrico-particellari nello Stato ecclesiastico: i “metodi” Salviati e Merlini e la loro applicazione nel territorio di Gubbio, in «In primis una petia terre». La documentazione catastale nei territori dello Stato Pontificio, atti del convegno di studi di Perugia del 30 settembre-2 ottobre 1993, in “Archivi per la storia”, n. 1-2, 1995, pp.177-192 e pp. 217-250; Alberto Satolli, La proprietà come rappresentazione nei cabrei settecenteschi orvietani ed il catasto del 1801, in “Bollettino dell’Istituto Storico Artistico Orvietano”, XXXIII (1977), pp. 3-70.
[xi] Vera Vita Spagnuolo, I catasti generali dello Stato pontificio, ivi, pp. 163-168.
[xii] Ivi, pp. 169-175. Sul catasto gregoriano, si veda anche Id., I catasti generali dello Stato Pontificio. La Cancelleria del censo di Roma poi Agenzia delle imposte (1824-1890). Inventario, Roma, Archivio di Stato di Roma, 1995, pp. 43-87.
 
 
 

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