Entusiasmi per Luca / La Cappella Nova o di San Brizio

 
 
Cappella Nova o di S. Brizio
Cappella del corporale
Luca Signorelli
Il Giudizio Universale
Linea antieretica che percorre tutto il ciclo pittorico

La Cappella Nova o di S. Brizio è situata all’interno del Duomo in posizione diametralmente opposta alla Cappella del Corporale dove è venerata la reliquia del miracolo di Bolsena. Fu costruita tra il 1409 ed il 1425, sfruttando le strutture di sostegno al transetto (archi rampanti, speroni e contrafforti) fatte erigere nei primi anni del '300 dall’architetto della Cattedrale Lorenzo Maitani, per risolvere supposti problemi di staticità.
E’ stata l’ultima parte del Duomo ad essere realizzata e per questo è detta “Cappella Nova”. Fu chiamata anche di “S. Brizio” perché, ogni 13 novembre, giorno di S. Brizio e ricorrenza della fondazione del Duomo, vi veniva esposta una immagine miracolosa della Vergine Maria (“Madonna di S. Brizio” pala di fine XIII sec.) a cui la Cappella stessa è dedicata.
A partire dagli anni quaranta del ‘400 prese corpo presso l’Opera del Duomo (ente laico preposto dal Comune di Orvieto al controllo e all’amministrazione della Fabbrica) il progetto di realizzare nella Cappella Nova un grande complesso di affreschi che degnamente concludesse “l’opera sublime” di Lorenzo Maitani.
Il desiderio di vedere realizzato il progetto accomunò tutti gli orvietani, ma chi concretamente finanziò l’opera fu la famiglia guelfa dei Monaldeschi, grazie alla cospicua somma lasciata in eredità dal vescovo Francesco di Monaldeschi.
La decorazione della Cappella venne portata a termine mentre la città stava attraversando uno dei periodi più difficili della sua storia, tormentata dal declino civico, dalla pestilenza e dalle sanguinose rivalità cittadine. A questo si aggiunsero le difficoltà nel reperire l’artista giusto per l’impresa.
Nel 1447 l’Opera del Duomo ebbe la grande fortuna d’ingaggiare il famoso pittore domenicano Giovanni da Fiesole, noto come Beato Angelico il quale, venuto ad Orvieto, eseguì due vele nella volta della Cappella Nova (il Cristo Giudice e i Profeti). Richiamato improvvisamente dal Papa, l’artista tornò a Roma e non fece più ritorno.
Solo nel 1499, dopo lunghe trattative con altri artisti dell’epoca, tra cui il Perugino, i lavori ripresero con un degno sostituto: Luca Signorelli da Cortona. All’epoca il pittore aveva 60 anni ed era nel pieno della sua maturità artistica.
Come banco di prova per l’affidamento dell’incarico gli fu richiesto di completare la volta della Cappella, cosa che l’artista eseguì velocemente e senza avvalersi di aiuti.
La sua pittura entusiasmò subito l’Opera del Duomo, che il 27 aprile 1500 approvò a maggioranza anche i disegni per le scene delle pareti. Fu così che, per 600 scudi d’oro più mosto e grano, venne commissionata al Signorelli la decorazione dell’intera cappella che l’artista portò a termine con la sua scuola in quattro anni di febbrile attività, dal 1500 al 1504. La scelta del soggetto da affrescare, come per tutte le decorazioni della Cattedrale, era prerogativa dei teologi e vide impegnate contemporaneamente sia le autorità ecclesiastiche locali che la Santa Sede.
L’antico rapporto politico tra Orvieto e Roma (con il patto del 1157 Orvieto diventa “Roccaforte dei papi” e nel 1357 si sottomette ufficialmente allo Stato Pontificio) favorì l’istaurarsi di uno stretto legame culturale tra le due città.
La Santa Sede, dunque, fece sempre sentire la sua influenza sul messaggio che la Cattedrale doveva comunicare e fu così anche per la Cappella Nova, per la quale si decise di rappresentare il “Giudizio Universale”.
Il Giudizio Universale del Signorelli riflette la predicazione della Chiesa di fine ‘400, tutta incentrata su un drammatico appello alla conversione e al pentimento a causa del nuovo panorama storico e culturale che si andava delineando in Europa alla metà del II millennio.
L’avanzata dei musulmani in Occidente, le mire espansionistiche in Italia delle grandi potenze Francia e Spagna, il diffondersi dei movimenti scismatici ed ereticali, ed, infine, l’inizio di quella profonda trasformazione culturale che stava segnando il passaggio epocale dal Teocentrismo all’Antropocentrismo, rappresentavano un vero e proprio attacco alla cristianità e all'autorità stessa della Chiesa: colpire il cristianesimo significava sgretolare i cardini sui quali si era retta la società del medioevo. Nubi nere si addensavano sul futuro dell'umanità e di Roma, che vide, in questi eventi, gli oscuri e terribili presagi della fine del mondo, profetizzata dalle Sacre Scritture. Forte ed urgente si fece perciò l’appello apocalittico al perseguimento della salvezza per l'imminente ritorno di Cristo, vera e sola speranza per tutto il genere umano.
Testimonianza della visione cristiana della storia di fine medioevo, la Cappella Nova afferma il ruolo morale universale della Chiesa nel 1500 la quale è celebrata come unico strumento di salvezza, che trionferà sul mondo e su tutti i suoi nemici.
Funzionale a questo messaggio è la linea antieretica che percorre tutto il ciclo pittorico a partire dalla figura dell’Anticristo, sinistro personaggio apocalittico identificato con la setta eretica dei Catari, responsabile della morte del podestà Pietro Parenzo (1199) e molto diffusa ad Orvieto nel XIII sec.
I Catari, infatti, mettevano in dubbio le verità di fede centrali nel cristianesimo e l'autorità della Chiesa, entrambe solennemente confermate invece negli affreschi della Cappella Nova che rappresentano la più rigorosa e completa trattazione della dottrina escatologica cristiana (Morte, Giudizio, Paradiso ed Inferno) che si possa trovare nell’arte italiana.
La connotazione antieretica dell'opera, inoltre, rendeva onore alla famiglia mecenate dei Monaldeschi che svolse un ruolo fondamentale nella lotta contro i Catari ad Orvieto.

 

 
 
 
 

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