Grande pressa

 
 

Note di Paolo Nardon

Davanti alla stazione ferroviaria di Terni, in piazza Dante si erge la mole massiccia della grande pressa da 12.000 tonnellate, forse il più grande congegno ad urto mai costruito, un emblema della storia di Terni e della sua industriosità. Sembra una scultura, questo pregevole esempio di archeologia industriale, e forse lo è (e potrebbe davvero intitolarsi Grande Pressa). Chi ha deciso di installarlo in quella posizione forse senza volerlo ha effettuato un’operazione che ha qualcosa di artistico. Questa forma imponente ed elegante, come un castello inabitabile, potrebbe essere definita un ready made, un oggetto sottratto al suo contesto, che affrancato dalla sua funzione d’uso ne acquista una più alta, diventando un simbolo artistico dell’operosità dell’uomo. Ma non soltanto. Sarebbe ingiusto infatti liquidare così questo oggetto, dotato di una sua intrinseca bellezza e di una sorta di aura poetica. Questa sì che è un’opera monumentale, capace di simboleggiare la potenza della macchina, con le sue forme ben tornite e cromate. La sua bellezza é quella insita in un oggetto d’uso che porta in sé potenzialità che riescono a colpire anche chi non è in grado di comprendere la sua passata funzione pur rimanendo in qualche modo soggiogato da quella forza latente che è una delle qualità precipue della macchina, che ha reso l’uomo capace di opere imponenti e apparentemente impossibili.

 

 
 
 

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