Hyperion

 
 

Note di Paolo Nardon

Come altro avrebbe potuto chiamarsi, se non Hyperion quell’imponente totem in ferro, a cui il tempo e gli agenti atmosferici hanno conferito quella rugginosa patina marrone, destinata all’eternità? Iperione é uno dei titani, il dio gigante, generatore di se stesso. Ed é proprio un’opera titanica quella di Miniucchi, e anche se non si é generata da sola, sembra aver dettato all’artista le sue forme armoniose, generanti una sorta di tensione - tra la pesantezza insostenibile del materiale e la corrispondente leggerezza quasi aerea delle forme - che grazie all’arte diventa espressiva. Di un’altra tensione non si può tacere ed é quella cui sembra alludere l’artista che pone una sorta di base, di guida entro cui la scultura potrebbe dondolare, ma senza intenzione, in quanto il suo stesso peso sembra costringerla pur nella sua latente instabilità ad una quiete imperiosa. In quest’opera sembra inoltre che la potenza dell’acciaio e quella della forma si potenzino reciprocamente. D’altronde quel metallo, espressione della vocazione industriale di Terni, con le sue Acciaierie, sembra il necessario ingrediente per la monumentalità quasi arcaica di questo totem dove la potenza dell’idea può prendere forma superando le limitazioni intrinseche nel materiale, grazie all’arte e all’ausilio della potenza tecnologica e produttiva dell’industria.

Agapito Miniucchi (nato a Rocca Sinibalda (RI) nel 1923 vive e lavora a Narni e Todi)

 

 
 
 

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